L’attuale dinamica dei prezzi, caratterizzata da forti aumenti delle materie prime e dell’energia, sta provocando danni importanti anche alla qualità della comunicazione (e dell’etichettatura) destinata al consumatore e alla scelta delle materie prime, a causa del controverso approccio di diversi operatori alimentari al riguardo. Preciso che qui non tratto dell’aspetto economico della dinamica dei prezzi al consumo, delle possibili speculazioni che la corrente situazione può di fatto rendere più occultabili, insomma di prospettive assai rilevanti per noi tutti in quanto consumatori ma estranee alla normativa alimentare.
ALCUNI COMPORTAMENTI DELLE AZIENDE NON SONO CONFORMI ALLE NORME
Già mi sono occupato della riduzione delle porzioni e della sgrammatura come misure per rendere apparentemente costante il prezzo agendo sul fattore rappresentato dalla quantità dell’alimento (Misure per il mantenimento dei prezzi di vendita al consumatore, Molini d’Italia, marzo 2022), così mascherando l’aumento del costo che si riversa sul consumatore. Se la sgrammatura è, in linea di massima, un fenomeno giuridicamente accettabile, oggi assistiamo ad altri interventi decisamente meno sostenibili se non addirittura illegali.
L’aumento dei prezzi del pescato ha spinto taluni operatori a mettere in vendita prodotto decongelato “dimenticando” di informare che non si tratta di prodotto fresco o inserendolo nel banco del “pesce fresco”. Dovrebbe inoltre suonare come un allarme l’offerta di prodotti ittici freschi durante il periodo di fermo pesca o quella di un prodotto fresco quando non disponibile, ad esempio, nel mercato ittico all’ingrosso. Nel settore delle carni lavorate accade, non di rado, che non venga specificato trattarsi di prodotti a base di carne con percentuali variabili di altri ingredienti, definendo sempre più spesso quella “carne” con denominazioni non italiane relative a prodotti normalmente di carne.
continua…
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Avvocato esperto in diritto dell’alimentazione
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