È stata un’annata molto difficile per la produzione di frumento in Italia, con prospettive tutt’altro che rosee per il futuro. L’instabilità politica ed economica causata dall’inizio delle operazioni belliche russe in Ucraina, ha determinato uno shock sui mercati cerealicoli imputabile, in minima parte, al deficit di import di grano dai Paesi coinvolti nel conflitto e, soprattutto, alle scommesse della finanza speculativa e agli spaventosi rincari energetici.
LA SPECULAZIONE DEI MERCATI FINANZIARI È RESPONSABILE DELLE FORTI OSCILLAZIONI DELLE QUOTAZIONI
Tutto ciò in un’annata già negativamente caratterizzata da una persistente siccità che ha colpito tutto il territorio italiano, fonte di importanti cali produttivi e di una qualità del frumento non sempre ottimale.
Le rotte dell’export di frumento da Kiev e Mosca toccano in modo marginale il nostro Paese, mentre sono essenziali per molti Stati africani e del Medio Oriente. In Italia arriva dall’Ucraina solo il 2,7% delle importazioni di grano tenero per la panificazione e quantitativi quasi irrilevanti di grano duro per la pasta. La stessa Unione europea copre il suo fabbisogno di frumento solo con il 15% di import dall’Ucraina e insieme a Usa e Canada produce 215 milioni di tonnellate di grano, con cui può sopperire senza problemi alla mancanza del grano ucraino. Le oscillazioni di prezzo e il successivo forte ribasso delle quotazioni sono, dunque, da ascrivere soprattutto a manovre speculative dei mercati finanziari, che hanno determinato un pesante deprezzamento del frumento a totale svantaggio degli agricoltori italiani, già penalizzati dallo scarso potere contrattuale rispetto a intermediari e commercianti. Con le loro operazioni finanziarie le banche d’affari internazionali hanno condizionato gli scambi commerciali dell’economia reale, distorcendo le dinamiche della domanda e dell’offerta delle commodities agricole. L’indice dei “futures” alla Borsa di Chicago è schizzato a metà giugno, proprio durante la raccolta, a causa di “rumours” fatti girare “ad arte” circa un abbondante raccolto canadese, allo scopo di indurre i cerealicoltori italiani a vendere velocemente, con la logica conseguenza di un drammatico calo dei prezzi. Le aziende cerealicole, d’altra parte, non potevano certo permettersi il lusso di aspettare, strozzate dai gravosi investimenti necessari a fronteggiare i vertiginosi aumenti dei costi energetici, gran parte dei quali si sono riversati sul prezzo del carburante agricolo, e dei fertilizzanti di provenienza russa (+400%).
…continua
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